Inno alla mia terra. Cefalù: tra terra e mare.
Cefalù è terra di un’alta, sovrana, intima roccia; è terra di coste, bagnate dal mare, violentate da orme sempre nuove. E’ terra di santuari di eremiti dimore; di procellose, affollate processioni a mare, ove, la proskynesis
diviene financo talattica , nel grido partecipante dei più. E’ terra di sacro, nell’alto della sua madre tra le chiese, del suo Pantocratore sacerdotessa, di uno sguardo che tutto contiene, che tutto protegge; è terra
di profano, in basso, nnu vasciu, lì, nella casa del barone filantropo, nello sguardo ammaliante di quell’ignoto, che ancor oggi seduce, nella beffa di un enigmatico volto.
Cefalù è terra consacrata a Dio, con la sua basilica dai colori cangianti, col suo Cristo che invita al silenzio; ma è anche terra di baldoria, di orge ai ritmi sfrenati di un anticristo in cerca di patria per la sua abbazia, ai piedi di una rocca, quintessenza dell’egotismo.
E’ terra di conquista; è terra conquistata.
E’ dalla dicotomia di identità lacerata che nasce il suo spigoloso, traballante equilibrio.
E’ terra di feste religiose nell’alto sacrale delle sue colline; è terra di rituali di mare primigeni.
Due volti, tanti possibili sguardi, ma solo due volti: il pane e i pesci.
Tutto il resto non è storia, ma incidenti intrufolati alla storia, nel suo armonico procedere, nel suo brusco, solitario, interrompersi.
E’ terra di capuna; ma è anche terra di pasta a taianu.
E’ terra di nasse, intrecciate tra i canti; di campi, arati nella riservata solitudine di una preghiera propiziatrice. In alto, i contadini, nella elitaria amenità dei loro luoghi; in basso, i pescatori, aperti nel vasto orizzonte del loro mare, svestiti del superfluo, segnati, nella loro nudità non velata, dal sole e dalla salsedine.
E’ terra di ringraziamenti per laute messi, nel Viva pane! dei suoi contadini, felici, nei loro composti abiti da festa; è terra di pescatori che amano il mare, loro terra, atti a svestirsi, a calarsi ,con le parole ,nella divinità maligna, per sedurla, per poi mostrarl ,sfrontatamente fieri, la loro nudità posteriore, per allontanarla, per tagliare la tromba marina.
E’ terra di contadini che, nella fatica del grano rievocano il miracolo del pane, che nella collettiva e festosa ritualità della vite, rievocano il miracolo del vino; ma è anche terra di marinai che guardano al loro pescato come dono di vita per la vita, che amano il loro mare, nella contemplazione mistica, all’imbrunire, del loro orizzonte, sempre meno luminoso, sempre più buio.
Cefalù è terra del fertile, incantante, sonoro amore di Dafni; ma è terra del silente e crudele odio di Giunone, aspra nella sua vendetta per la figlia vilipesa
Cefalù è terra di Dio, nel fitto dei boschi del suo grande monte( Gibilmanna), superbo nel suo sfiorare il cielo di querce, generoso nel suo trasudare manna di frassini; ma è anche terra del virulento Poseidone, nel dorato della sua rovente, sempre umida, sabbia del molo.
E’ terra fertile nei campi, generosi di frutti della Ferla, prima che il fuoco ne recidesse la cura; ma è anche terra nell’arsura glaciale di quei sette fratelli (Settefrati), pietrificati, sfiniti nelle bracciate a nuoto di quel dolore per sorella fujuta ( Fuggita dalla casa per amare liberamente il giovane che le aveva fatto battere il cuore).
Cefalù è terra di smodate, superficiali, copiose presenze, noncuranti, di agosto; ma è ance terra di sguardi selezionati, intenti in un’iconografia di rocce lambite dal mare, di pietre plagiate con l’arte dell’uomo, di odori
primitivi, veraci nell’abbondanza di un pescato settembrino.
E’ fiume ( Cefalino) riservatamente puro, gelido, che copula con il mare di tutti di un assolato, rovente, pomeriggio d’estate.
Cefalù è la tessera opulenta di un mosaico bizantino; ma è anche le torre quadrata, essenziale nel suo richiamare il cosmo, riecheggiante nelle forme di minareti arabi.
E’ icona della fede cristiana, nella mostra di quel Vangelo, parola che si fa Uomo, Uomo che si fa parola; è desiderio di tolleranza, di cosmopolitismo, di pace, nella diversità dei credo, nell’apertura di quella finestra, rivolta alla Mecca.
E’ l’arsura del sole di luglio, secco, nell’irradiare luminoso dei suoi raggi; è il freddo umido e pungente di un febbraio desideroso di sole.
Cefalù è terra degli agostiniani di Bagnara Calabra, austeri, nel loro chiuso di rettangolari confini di un chiostro, significante dell’eterno, non effimero Paradiso; ma è anche terra dei viveurs del Mediterranee, prigionieri felici della magia del loro esotico e fugace paradiso.
Daniela Mendola