Le Festività e le Tradizioni

“A satari i vadduna”

(La scampagnata del lunedì di Pasqua)

Un tempo, a Cefalù, il lunedì dopo la Pasqua tutti andavano in campagna a “satari i vadduna” (saltare i i torrenti). Era questa l’originale modo di indicare la tradizionale gita del Lunedì dell’Angelo. Il menù era vario e abbondante, c’era di tutto: carciofi, sarde, salsiccia e castrato cotti sulla brace, uova sode e ogni altro cibo molto apprezzato da tutti.

Nel 1919 a piedi fino a Ciluzzo; era Pasquetta e a pasta a tiano e u falsu magru aspettavano di essere consumati - Almiro Parlaveccio, 4/Set/2013

Era festa anche per i miei due cani, Diana e Laika. Laika era la fglia di Diana, il nome gli era stato dato per ricordare la famosa cagnetta mandata in orbita dai russi negli anni ’50.

Poi si ballava, la fisarmonica era lo strumento principe, le mazurke, il valzer e chi più ne ha più ne metta.

Per non essere da meno, pure il sottoscritto voleva essere protagonista nella festa, (mi si intravede nella foto a lato) tentando di far suonare una specie di trombetta, costruita con un tubo e un imbuto, per accompagnare la fisarmonica, ma a malapena ne usciva una pernacchietta.

Cefalù, Capo Playa 1958 satata vadduna - foto di Domenico Brocato

I miei ricordi da bambino, nella campagna “o Capu”, con tutta la mia famiglia e gli amici cari, che non potevano mancare in questa bellissima occasione di festa. I preparativi erano una cosa meravigliosa tutti si davano da fare per rendere questa giornata allegra e felice.

Si cominciava giorni prima con la preparazione del pane fatto in casa nel forno di campagna, vedevo crescere quelle focacce fatte con il lievito che mia madre sapientemente preparava durante ogni impastata, a “maidda” profumava di quel frumento che mio padre coltivava e poi portava al mulino per ottenere il famoso rimacinato di grano duro.

In ogni infornata c’era sempre un “pitittieddu”, un piccolo filone di pane intrecciato ad arte che mia madre faceva apposta per me, il piccolo di casa. Per me era un vero e proprio regalo, un gesto d’amore che mi riscalda ancora il cuore. Consumavo il mio “pitittieddu” appena sfornato, con l’aggiunta di solo olio, quello delle nostre olive, che conferiva al pane un profumo e un gusto unici.

Ancora oggi, quando chiudo gli occhi, riesco a sentirne il profumo e il sapore.

Pupa cu l'ova - Foto di Sara Brocato 2021

Dopo il pane era la volta dei biscotti “i pupa cu l’ova” ed altri manicaretti, quasi sempre c’erano i cannoli, le bucce venivano fritte sempre il giorno prima, per poi riempirli di splendida crema di ricotta e guarniti con la “cucuzzata”, zucca candita.

I preparativi per il pranzo durante la mattina presto, mia madre e le mie sorelle erano indaffarate a prepararlo, da parte alla casa vi era la zona del forno a legna, con accanto delle griglie sopra a dei mattoni e con la legna sotto si preparava la brace.

Carne o pesce, capretto, carciofi arrostiti, padelle che friggevano ogni ben di Dio; e poi sotto la cenere le patate messe ad arrostire.

Ognuno degli amici aveva portato qualcosa chi la pasta a forno, i famosi anelletti, chi le sarde a beccafico e chi il passito, una sorta di bevanda dolce che di solito la domenica, a Cefalù, mio padre mi mandava a conprarla da “Don Pietro”, la pasticceria in Corso Ruggero, assieme ai quei buoni e meravigliosi “tubbettoni” o “cartocci” alla ricotta.

Una bella tavolata lunga in mezzo al cortile della casa, della tenuta del “capo” che mio padre teneva a mezzadria, una bella festa, era un divertimento mangiare tutti assieme: il pranzo del lunedì dell’Angelo durava ore e ore, dopo il dolce, quattro chiacchiere, i ricordi.

A volte ci si recava in spaggia poco distante, o sugli scogli, noi bambini dentro le “ciotte” a sguazzare come pesciolini…

Era proprio bello, ci si voleva bene, c’era condivisione…

Ogni volta che ripenso a quei momenti trascorsi “o Capu”, il mio cuore si riempie di gioia e di gratitudine per aver vissuto quei momenti così speciali e unici. Mi rendo conto di quanto quei ricordi siano importanti per la mia famiglia e per me, perché ci hanno insegnato il valore delle tradizioni e dell’amore per la nostra terra.

Oggi, purtroppo, non è più possibile rivivere quelle giornate come una volta. La vita è cambiata, le persone sono cambiate e la campagna è diventata sempre più un luogo dimenticato.

Ma quelle memorie resteranno per sempre nel mio cuore e in quello dei miei cari, come un tesoro prezioso da custodire e tramandare alle future generazioni e, ogni volta che torno a Cefalù, quei ricordi tornano prepotentemente alla mente e mi fanno sorridere e commuovere allo stesso tempo; perché non importa quanti anni passino, quella campagna e quei momenti rimarranno sempre una parte importante di me, della mia infanzia e della mia famiglia.

Giovanni parrucchiere, la zia Giuseppina, Angelo Minutella e le mie sorelle Sara e Franca. Lunedì 15 aprile 1963

Domenico Brocato – Foto Storiche Cefalù

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