LA GIUDECCA
e le altre tracce di presenza ebraica a Cefalù
La Giudecca è un antico quartiere di Cefalù, mi permetto di dire, usando un ossimoro, che è un quartiere della periferia del centro storico, non solo per la sua ubicazione geografica, ma, soprattutto, per la distanza sociale che, nel tempo, si è interposta tra la Cefalù jauta (territorio compreso fino a piazza Duomo) e la Cefalù vascia (territorio comprendente la Marina, la zona adiacente a Porta Ossuna e la zona della Giudecca).Come ci suggerisce la toponomastica, la Giudecca è un quartiere che fu abitato da Ebrei e, più recentemente, da pescatori.
Non sappiamo, con certezza, quando gli Ebrei si stanziarono a Cefalù. Da uno storico siciliano del 1550, Vincenzo Di Giovanni, sappiamo che la presenza ebraica, a Cefalù, fu ben radicata nel tessuto sociale.
Evinciamo da documenti del Libro Rosso della Città di Cefalù e del Rollus Rubeus della Curia vescovile di Cefalù che gli Ebrei vivevano, commerciavano, possedevano case, a Cefalù.
Tutto ciò rimase pressoché inalterato fino al 31 marzo 1492, quando Ferdinando, re di Aragona e della Sicilia, emanò il bando di espulsione per tutti gli Ebrei, pena la morte e la confisca dei beni.
Le motivazioni della discriminazione erano religiose e non razziali, pertanto venivano esclusi dal bando coloro che si convertivano alla fede di Cristo. Assai palesemente il vero fine della Corona aragonese non era la difesa del cristianesimo, nella sua confessione cattolica, nello specifico, ma il controllo di quei commerci, i più ricchi, che nei secoli erano divenuti monopolio esclusivo degli Ebrei.
Il 12 gennaio 1493 gli Ebrei di Sicilia lasciarono l’isola. Rimasero solo coloro che si convertirono al cristianesimo e si lasciarono battezzare, assumendo come cognome quello dei loro padrini o, come vorrebbe la tradizione popolare, nomi di piante e di fiori.
Mi piace sottolineare il fatto che il bando di espulsione fu emanato nel 1492: in quello stesso anno, Isabella di Castiglia prese accordi con Colombo per consentire al navigatore genovese di raggiungere il Nuovo Mondo.
La scoperta di questo Nuovo Mondo avrebbe dovuto aprire nuovi orizzonti, avrebbe potuto comportare una nuova visione della diversità; infatti, l’uomo occidentale si trovò, per la prima volta, al cospetto di una totale diversità: l’alterità. Si scoprì l’altro, si inventò l’altro, mutuando le parole dell’antropologo Kilani.
Il concetto di alterità fu definito, per opposizione, a quello di identità. La Spagna ricompose, marcò la propria identità, nel segno delle strette definizioni che, come tali, comportarono la nascita di confini geografici, culturali, etnici, religiosi.
Tali confini non concepirono nulla che stesse fuori da un limen che fu tracciato col sangue di Ebrei, di indigeni americani, di schiavi, di infedeli.
È opportuno, a mio avviso, sottolineare nuovamente la data: 1492. Il 1492 segna anche l’inizio di una nuova epoca storica: l’Età moderna, l’illuminata Età moderna, che conclude il buio Medioevo.
Ritornando al nostro “particolare”, sappiamo che, a Cefalù, la comunità ebraica godeva di una propria autonomia e che conviveva pacificamente con i cristiani di confessione cattolica, ivi presenti.
Federico II, nella Costituzione del Regno di Sicilia del 1231 così affermava: «A Ebrei e Saraceni, concediamo le medesime garanzie, perché non vogliamo che in-nocenti vengano perseguitati soltanto perché Ebrei o Musulmani».
Il buio Medioevo siculo illuminò i suoi abitanti di un sincretismo che andava oltre la tolleranza.
Cosa è rimasto, cosa rimane, oggi, della presenza ebraica, a Cefalù?
Le solide radici, che gli Ebrei hanno piantato a Cefalù, rimangono evidenti dal perdurare nel tempo, nella storia, del toponimo Giudecca e di tanti altri segni latenti, che richiamano la cultura di questo popolo.
Mi piace definire la Giudecca come uno spazio ritagliato, un tempio, il temenos era il recinto, il luogo separato dedicato agli dei.
La Giudecca è uno spazio ritagliato, tra la Rocca sovrana e stabile e il mare cangiante; tra piazza Duomo, oikos di appartenenza territoriale e identitaria, e il porto, la strada verso Messina, verso l’altro.
Socialmente e strutturalmente questo quartiere è rimasto diverso, anche quando Cefalù, snaturata della propria identità, è diventata una cittadina a vocazione quasi esclusivamente turistica.
Il centro storico di Cefalù, abbandonato a partire dagli anni Sessanta-Settanta dello scorso secolo, a metà degli anni Novanta dello stesso, subì un processo di Gentrification, un cambiamento urbanistico, quindi socio-culturale, che comportò il trasferimento di giovani coppie in case del centro storico che vennero restaurate e non semplicemente ristrutturate.
Il centro storico tornò a vivere.
La Giudecca non fu interessata, con gli stessi tempi, a questo processo. All’inizio degli anni Duemila, nel centro storico, nacquero numerose strutture ricettive e di ristorazione. Questo processo si è sviluppato anche nel quartiere Giudecca, ma in tempi assai più recenti.
Ciò ha fatto sì che la storia del quartiere e, in piccola misura, quella di Cefalù, siano rimaste felicemente scolpite in quelle pietre, sussurrate nel dialetto ivi parlato.
Alla Giudecca, si percepisce ancora la natura talattica di Cefalù; si custodisce una koinè peculiare, che, in maniera abbastanza superficiale, viene definita araba.
In questo quartiere, ancor oggi, viene recitata una novena, dedicata al Cristo Salvatore, che anticamente veniva recitata anche negli altri quartieri di Cefalù.
Qui a lato un video realizzato da Marco Manera
Questo canto, di eufonica musicalità, è stato conservato dalla popolazione della Giudecca, nel sacro tempio della memoria.
La koinè che si può apprezzare fa riferimento ad una Cefalù altra, dicevo araba. In realtà, la lingua parlata dagli Ebrei di Sicilia e di Cefalù era la lingua giudeo-araba. Per suffragare quanto detto, basti citare l’immagine della lapide di epoca normanna, con iscrizione in latino, arabo, greco, e giudeo-araba, custodita alla Zisa di Palermo.
Quindi, questo dialetto così diverso (da quello della Cefalù Jauta) è di chiara matrice ebraica.
In tutto il quartiere, si è conservato nel tempo uno zelo peculiare verso le tradizioni e i riti religiosi.
Mi piace definire questo zelo con l’aggettivo fariseo, che riconduce al popolo ebraico. Si badi bene: non nella sua accezione negativa di ipocrita, ma in quella di osservante “alla lettera” dei riti religiosi.
Intervento per la Giornata della memoria di Cefalù
26.01.2019
Daniela Mendola
Foto dal Gruppo Foto Storiche Cefalù